venerdì 20 gennaio 2012

Gli Spiriti non dimenticano

Gli Spiriti non dimenticano è la vera storia di Cavallo Pazzo, Tashunka Uitko, leggendario guerriero dei Sioux Oglala. Il libro di Vittorio Zucconi da l'immagine di un uomo che al tempo stesso era leggenda e immagine del suo popolo intero, travolto dai lutti e ingannato sia dai bianchi che, cosa ancor più struggente, dalla sua stessa gente. Cavallo Pazzo appare come l'unico indiano, insieme a Toro Seduto, ad aver capito fin dall'inizio che quei trattati, quei pezzi di carta che poi il governo americano non rispettava, rappresentavano la distruzione, pezzo per pezzo, del suo popolo, ed era uno dei pochi che aveva sempre combatturo, guidato dal suo coraggio e dalla sua fede, mentre i bianchi, come Custer o Sheridan, sono guidati dai loro pochi scrupoli e dalla loro insaziabile avidità e ambizione.
Il libro cattura il lettore, tra i colpi di scena, grazie ad un linguaggio non da libro di storia o cronaca di un destino annunciato, ma da romanzo, a volte ironico, a volte poetico, altre triste. Ma è anche un modo per scoprire la cultura Sioux non attraverso i film western, ma attraverso gli occhi di chi, come l'autore, è andato sui luoghi dei fatti, ha cercato negli archivi, ha intervistato discendenti e sentito da loro la storia come gliel'hanno tramandata i loro padri e i loro nonni, che hanno visto quei tempi in cui la prateria era libera dal giogo dei bianchi e i bisonti pascolavano a milioni. E che sapevano bene che gli Spiriti non dimenticano, mai.

VOTO: 10

lunedì 9 gennaio 2012

L'Ultimo Orco

I destini incrociati di diversi personaggi: Rankstrail, capitano dei mercenari di Daligar, Yorsh, l'ultimo e il più potente signore degli Elfi, e Robi, sua sposa.
Fino a pagina 144, L'Ultimo Orco non mi stava piacendo. La narrazione mi sembrava troppo lenta, il linguaggio pesante e quasi barocco. Finché, a partire da pagina 144, non ho cominciato a volare sui destini dei diversi personaggi. La storia si è fatta emozionante, commovente e anche triste, capace di far imprecare e piangere. Era da un bel po' che un libro non mi trasmetteva emozioni così forti, praticamente fino all'ultima pagina.
Il linguaggio e lo stile di Silvana De Mari cambia poco a poco, e passa da un lingua popolare a una sempre più elegante, con figure retoriche che si adattano ad ogni personaggio e al suo vissuto, per Yorsh e Robi il mare, per Rankstrail quello militare e dei piccoli ladri.
Un bellissimo libro che fa pensare anche alla nostra situazione presente, con molto rimandi. Ma dopotutto non è questo il fascino del fantasy, di proporre sempre argomenti universali?

VOTO:10
 

venerdì 6 gennaio 2012

"Mia Signora!... Mio unico amore! Come potete essere così insensatamente ingiusta nei confronti della vostra cucina? Quello che ha compromesso la mia immortalità, e per sempre, è la mezza patella che ho preso da uno scoglio da solo e che mi sono messo in bocca senza l'aiuto di nessuno, facendo l'unica scelta che mi renda felice di vivere. Mia Signora, io attraverserei il fuoco per una delle vostre frittate ai pinoli e al mirto, che cuocete usando come padella una spada, e sono certo che, se i Re elfici potessero sapere che la spada che essi forgiarono secoli fa, quando la loro potenza era all'apogeo, voi la brandite per distruggere la fame e far scintillare la gioia, ne sarebbero fieri e onorati.
"Mia Signora, ve ne prego, non negatemi né il miele del vostro sorriso, né quello che versate sui filetti di orata, perché per averne goduto, io attraverserò i cancelli del tempo e della morte, andrò dall'altra parte delle stelle e del vento, dove le parallele si incontrano e i numeri terminano, e quando ci sarò giunto canterò le vostre lodi e ringrazierò per la mia fortuna, perché lo scambio sarà stato a mio favore. Mia Signora, l'immortalità è il dono maligno che ha perduto la mia stirpe. I nostri corpi inviolabili, incorruttibili come il sasso, come il diamante, come il ghiaccio che resta intrappolato mei crepacci che il sole non riesce a scaldare e dove la primavera non arriva mai, ci hanno reso talmente fragili che siamo periti. Siamo rimasti immobili, spaventati dalla vita che è per definizione cambiamento e distruzione e, uno a uno, siamo morti. Il mio popolo è scomparso perché gli è mancato il coraggio di accettare la morte, che era l'ultimo dono tra quelli che l'universo ha fatto ai viventi. Ogni sposa fa dono del suo coraggio al suo sposo quando accetta di amarlo, perché nella nascita di un nuovo figlio, la vita e la morte si danno la mano. In un popolo dannato dall'immortalità questa è stata giudicata un dono eccessivo per essere chiesto o anche solo accettato. Ci siamo estinti ugualmente: uccisi, massacrati, sterminati dalla fame e dalla tristezza. Siamo morti lo stesso. La razza umana sapeva che la morte fa parte dellla vita e non se ne può scindere. Gli Elfi hanno voluto ignorarlo e hanno sperpetato il loro destino continuando la loro sterile battaglia di richiamare in vita i moscerini."
...
"... I tuoi denti cadranno e...i capelli pure!"
"Bene, parlerò sputando...e al mattino mi luciderò la testa con un panno, perché brilli nel sole. Poche cose mi sembrano più detestabili di una giovinezza insulsa ed eterna che mi confonda con i nostri figli rendendomi simile a loro. Voglio che il bianco dei capelli o le rughe che si formeranno sulla mia faccia ricordino ai miei figli che io non sono né il fratello né l'amico, ma il padre. Voglio che guardando le mie mani screpolate e macchiate, loro ricordino che io sono colui che li ha generati, perché altrimenti, quando il dolore e l'incertezza li colpiranno, loro non sapranno da chi andare a chiedere certezze e consolazioni. Voglio che i nostri figli abbiano la cura della nostra fragilità per imparare la misericordia: come lo potranno se non perderemo noi la forza della giovinezza? Di tutte le maledizioni del mondo, dover sopravvivere a un figlio, doverlo comporre nella morte e seppellire, mi sembra la peggiore: non lo augurerei al mio nemico più ignobile e più odiato. ..., quando cambierò, quando parlerò come il vecchio pescatore o il sole ustionerà la mia testa rimasta implume come un gabbiano neonato, veramente mi amerai meno? Anche il tuo viso e il tuo sorriso cambiano conservando il ricordo del sole che ha bruciato la tua pelle, mentre cercavi i granchi che mangiamo insieme, è per questo che il mio amore per te non resta uguale, ma ogni giorno cresce, è per questo che la felicità della tua presenza di giorno in giorno diventa più grande e più piena di luce. Il tuo corpo porterà il segno dei nostri figli, i tuoi capelli quello del tempo che avremo trascorso tenendoci per mano. Da quando so che sono contati, i giorni hanno moltiplicato il loro splendore; il movimento enorme delle stelle e delle maree e quello piccolo di un filo d'erba che cresce sono diventati misurabili perché ora il tempo ha un valore. Mia Signora, il vostro sguardo ha l'orgoglio di un volo di falchi e la tenerezza del riflesso del sole nell'acqua. La vostra testa si alza sulle spalle con la forza invincibile delle onde e la dolcezza con cui il mare si rompe sulla sabbia nelle più placide sere d'estate. Il sorriso con cui vi chinate sulla nostra bambina contiene la luce stessa del sole che scalda la terra. Il sorriso che avete quando io mi chino su di voi ha il mistero della luce dela Luna che rimbalza lieve tra le nuvole e le onde. Mia Signora, voi avete la forza di un esercito schierato in battaglia e nulla potrà mai sconfiggervi, neanche la morte, perché neanche di quella voi avrete paura. Mia Signora, vi prego, non piangete. Causarvi dolore mi è insopportabile. Ho visto le vostre lacrime oggi e sono state un dono perché so che avete pianto la mia morte, ma vi prego, giuratemi che se dovessi io morire prima di voi, nel momento in cui vi lascerò i vostri occhi resteranno asciutti, la vostra fronte calma."

"Non si combatte per il proprio onore. Di tutte le attività possibili, la guerra può essere, in assoluto, la meno onorevole. L'onore è morire e combattere solo perché la guerra finisca e non sia più necessario farne. L'onore è capire quando bisogna fare la guerra e fermarsi quando è possibile smetterla."

                                                               Da "L'Ultimo Orco" di Silvana De Mari